Alieni: C’è qualcuno là fuori?

Alieni: C’è qualcuno là fuori?

«Enrico Fermi, il fisico italiano naturalizzato statunitense vincitore del Nobel, apportò alcuni dei contributi più importanti alla scienza del XX secolo, ma nel 1950 pose una domanda molto semplice che non aveva nulla a che fare con la sua ricerca in fisica nucleare, e conteneva invece implicazioni molto profonde per chiunque fosse interessato al tema della vita extraterrestre, come presumo voi siate, dal momento che state leggendo questo libro.

La leggenda narra che la domanda in questione saltò fuori durante una pausa pranzo, chiacchierando con i colleghi del Los Alamos National Laboratory in New Mexico, che qualche tempo prima era stato la sede del Progetto Manhattan. Stavano discutendo della possibilità che la Terra fosse stata visitata da alieni a bordo di dischi volanti. Era una conversazione scherzosa, e pareva che nessuno degli scienziati presenti credesse all’esistenza degli extraterrestri. Ma Fermi fece una domanda molto semplice: “Dove sono?”

Quel che voleva dire era che, data l’età e le dimensioni vastissime dell’universo, con quasi cinquecento miliardi di stelle nella sola Via Lattea, molte delle quali dotate di propri sistemi planetari, a meno che la Terra non sia qualcosa di incredibilmente e ingiustificabilmente speciale, l’universo dovrebbe traboccare di vita, comprese specie intelligenti abbastanza avanzate da possedere le conoscenze e le tecnologie necessarie per viaggiare nello spazio. In quel caso, proseguiva, a un certo punto della nostra storia avremmo certamente dovuto essere stati visitati dagli alieni. E quindi i racconti degli avvistamenti di dischi volanti potevano essere veri. Per Fermi era ovvio che, supponendo che il nostro pianeta non fosse l’unico, non solo doveva essere enormemente probabile che esistessero forme di vita intelligente dovunque, ma che qualsiasi civiltà aliena con ambizioni territoriali pur modeste e una tecnologia adeguata per viaggiare nello spazio ormai avrebbe avuto tutto il tempo di colonizzare l’intera galassia. E allora dove sono?

La conclusione di Fermi era che le distanze per i viaggi interstellari sono così immense che, a causa dei limiti imposti dalla teoria della relatività secondo cui niente può eccedere la velocità della luce, nessun alieno avrebbe preso in considerazione il viaggio assurdamente lungo per arrivare sin qui da noi. Sembra che Fermi non tenesse conto del fatto che dovremmo comunque essere in grado di rilevare l’esistenza di civiltà aliene tecnologicamente avanzate anche se non avessero mai lasciato il proprio pianeta. Dopotutto, da cent’anni a questa parte, non facciamo che annunciare la nostra presenza a qualunque alieno in ascolto che sia abbastanza attrezzato per poterci sentire e abbastanza vicino a noi (che significa situato entro 950000 miliardi di chilometri dalla Terra, perché questo corrisponde a cento anni luce: la distanza che la luce copre in cento anni). Sin da quando abbiamo inventato la radio e la televisione e, più di recente, con la proliferazione dei satelliti e delle comunicazioni telefoniche cellulari, abbiamo emanato nello spazio le nostre chiacchiere elettromagnetiche. Perciò qualsiasi alieno abbastanza avanzato e abbastanza vicino a noi cui fosse capitato di puntare i propri radiotelescopi verso il nostro Sistema solare avrebbe dovuto captare qualche segnale anche debole che tradisse la nostra presenza.

Avendo noi ogni ragione di credere che le leggi della fisica siano le stesse in tutto l’universo e che uno dei mezzi più semplici e più versatili per trasmettere informazioni siano le onde elettromagnetiche, sarebbe logico aspettarsi che anche le civiltà aliene avanzate utilizzino, o abbiano utilizzato a un certo punto del loro progresso, questo mezzo di comunicazione. E se così fosse, allora alcune di queste onde si sarebbero inevitabilmente disperse nello spazio, diffondendosi radialmente nell’universo alla velocità della luce.

Non sorprende dunque che, dalla seconda metà del Novecento, gli astronomi abbiano seriamente iniziato a considerare la possibilità concreta di intercettare segnali del genere provenienti dallo spazio utilizzando i radiotelescopi che si andavano costruendo in quegli anni. La ricerca di intelligenza extraterrestre (o SETI, Search for Extraterrestrial Intelligence) cominciò con i pionieristici tentativi di un uomo, Frank Drake, famoso soprattutto per una semplice equazione che porta il suo nome e che include tutti i fattori da lui ritenuti necessari per ottenere una stima della probabilità che esista intelligenza aliena da qualche altra parte nel cosmo.

Oggi l’acronimo SETI è il nome collettivo che comprende una serie di progetti condotti da anni in tutto il mondo volti a cercare segnali extraterrestri. A seguito del tentativo iniziale di Frank Drake, è decollato un programma vero e proprio, il cui raggio di ricerca si estende ben oltre il Sistema solare. Nel 1984 è stato fondato in California il SETI Institute, e circa dieci anni dopo l’istituto ha lanciato il Progetto Phoenix, diretto dall’astronomo Jill Tarter. Fra il 1995 e il 2004, il Progetto Phoenix ha impiegato radiotelescopi in Australia, Stati Uniti e Porto Rico per scandagliare centinaia di stelle simili al Sole situate entro un paio di centinaia di anni luce dalla Terra. Finora non è stato captato alcun segnale. Tuttavia il progetto ha prodotto un prezioso database di informazioni per la ricerca di possibili forme di vita aliene. Oggi la caccia ai pianeti extrasolari (pianeti orbitanti intorno a stelle che non sono il Sole) rappresenta uno dei temi «scottanti» della ricerca scientifica e gli astronomi, avendo a disposizione nuovi e più potenti radiotelescopi, stanno scoprendo di continuo nuovi sistemi stellari potenzialmente abitabili. Non passa mese senza che sia data la notizia dell’individuazione di nuovi pianeti simili alla Terra che in teoria potrebbero ospitare la vita.Nel 2015, l’annuncio che la SETI investirà cento milioni di dollari nella ricerca di vita intelligente in altri luoghi dell’universo ha scatenato l’immaginazione del pubblico di tutto il mondo.

Il fisico Stephen Hawking ha espresso in un commento ciò che molti pensano: “È tempo di impegnarsi a trovare la risposta, a cercare la vita al di là della Terra. È importante per noi sapere se siamo soli nell’oscurità”…»

Jim Al-Khalili

La Via Lattea contiene qualcosa come 300 miliardi di stelle, ognuna delle quali con un suo sistema planetario. In base a questo calcolo, un giorno, durante una pausa pranzo a Los Alamos, nel bel mezzo di un’allegra chiacchierata tra fisici sulla vita extraterrestre, Enrico Fermi all’improvviso domandò: «Ma se esistono, dove sono?»

Insomma, se esistono, statisticamente hanno avuto tutte le probabilità di sviluppare una civiltà e tutto il tempo per palesarsi. I numeri non mancano, e allora dove sono?

Noi umani da almeno un secolo emettiamo nello spazio i nostri segnali radio, che a questo punto hanno raggiunto un raggio di un milione di miliardi di chilometri, portando con sé la prova della nostra esistenza a centinaia di stelle ormai. Nessuno ci ha ancora risposto. Siamo davvero soli nell’universo? Siamo davvero così unici?

Questa è forse la domanda più grande che ci siamo mai posti. Esistono gli alieni? E come sono fatti? Che pensieri hanno? Che cosa accadrebbe se li incontrassimo?

Alcuni tra i più importanti scienziati ed esperti del settore provano in questo libro a dare una risposta e lo fanno senza tralasciare alcun aspetto rilevante: dagli UFO alle neuroscienze extraterrestri, da Marte e gli esopianeti alla fisica quantistica, dal cinema alla letteratura fantascientifica, fino alla dura scienza di chi sta davvero cercando tracce di vita aliena nell’universo profondo coi mezzi più moderni. Questo libro è pieno di scienza all’avanguardia e di storie emozionanti; istruttivo da leggere, divertente da sfogliare e firmato dai migliori autori in circolazione al momento.

Una galleria esemplare: Martin Rees, Lewis Dartnell, Dallas Campbell, Anil Seth, Chris French, Chris McKay, Monica Grady, Louisa Preston, Ian Stewart, Andrea Sella, Nick Lane, Johnjoe McFadden, Paul C.W. Davies, Matthew Cobb, Adam Rutherford, Nathalie A. Cabrol, Sara Seager, Giovanna Tinetti, Seth Shostak.

Nella foto Jim Al-Khalili
Jim Al-Khalili

Jim Al-Khalili (Baghdad, 1962) è docente di Fisica teorica alla University of Surrey, in Gran Bretagna, dove tiene anche una cattedra di Comunicazione scientifica.

Presidente della British Humanist Association, è anche socio onorario della British Association for the Advancement of Science e Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico (OBE).

Nel corso della sua attività ha ricevuto il Michael Faraday Prize e il Kelvin Prize. Come comunicatore, Al-Khalili è spesso presente nei canali televisivi e radiofonici britannici, dove ha curato alcuni dei più apprezzati documentari scientifici inglesi. Con Bollati Boringhieri ha pubblicato La fisica del diavolo. Maxwell, Schrödinger, Einstein e i paradossi del mondo (2012), La casa della saggezza. L’epoca d’oro della scienza araba (2013), La fisica dei perplessi. L’incredibile mondo dei quanti (2014) e La fisica della vita. La nuova scienza della biologia quantistica (2015, con Johnjoe McFadden).

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