Neuroplasticità – Le guarigioni del cervello
Neuroplasticità – Le guarigioni del cervello
Negli ultimi secoli la medicina ha considerato il cervello come un organo immutabile e incapace di guarire. Le malattie neurologiche e degenerative erano viste come una condanna senza appello per il malato, i trattamenti farmacologici e riabilitativi poco efficaci o inutili. Ma la visione introdotta dalla neuroplasticità, ossia la capacità del cervello di modificare la propria struttura e il proprio funzionamento, ha aperto la strada a possibilità terapeutiche rivoluzionarie, già presentate da Norman Doidge in Il cervello infinito.
A distanza di qualche anno, l’autore approfondisce il tema della guarigione neuroplastica, descrivendone due elementi centrali: l’esercizio fisico e mentale, e il ricorso all’energia, sotto forma di luci, suoni, vibrazioni. Il cervello non è più una scatola impenetrabile, ma un organismo in grado di connettersi al mondo esterno tramite i sensi, e sono proprio questi ultimi i canali da sfruttare per intervenire in modo non invasivo e del tutto sicuro sulle strutture neuronali, così da ricuperarne le funzioni. Una vera e propria rivoluzione copernicana, che allevierà le sofferenze di moltissimi pazienti, e che Doidge racconta con grande ricchezza di particolari, attraverso numerose storie reali. Le guarigioni del cervello è un saggio pieno di speranza, che viene a dirci che il cervello può guarire, anzi, di più: è in grado di curarsi da solo.

Questo libro parla di come il cervello umano è in grado di guarire, e del modo in cui, una volta compreso questo processo, molti problemi cerebrali ritenuti incurabili o irreversibili possano migliorare, spesso radicalmente, e in alcuni casi, come vedremo, essere curati. Mostrerò come questo processo di guarigione dipenda proprio dalle caratteristiche altamente specializzate del cervello, un tempo considerate così sofisticate da comportare un prezzo: il cervello, a differenza degli altri organi, non è in grado di ripararsi o di recuperare le proprie funzioni. In queste pagine sosterrò che è vero il contrario: la complessità del cervello gli consente di ripararsi e di migliorare il proprio funzionamento generale.
Inizia dove si concludeva Il cervello infinito, dove descrivevo la scoperta più importante nella comprensione del cervello e della sua relazione con la mente fin dagli albori della scienza moderna: la neuroplasticità. La neuroplasticità è la proprietà che consente al cervello di modificare la propria struttura e il proprio funzionamento in risposta all’attività e all’esperienza mentale. Nel libro parlavo anche dei primi scienziati, medici e pazienti che avevano sfruttato questa scoperta per ottenere incredibili trasformazioni nel cervello. Fino ad allora queste trasformazioni erano inconcepibili, poiché per quattro secoli la scienza ufficiale ha ritenuto che il cervello non potesse cambiare; secondo gli studiosi, il cervello era come una macchina grandiosa, in cui ogni parte, situata in una precisa regione cerebrale, svolgeva un’unica funzione mentale. Se una regione cerebrale subiva una lesione – a causa di un ictus, un trauma o una malattia – non poteva essere riparata, poiché le macchine non possono ripararsi da sé, né generare parti nuove. Gli scienziati sostenevano anche che i circuiti cerebrali fossero immutabili o «cablati», ossia che le persone con un ritardo mentale congenito o affette da disturbi dell’apprendimento fossero destinate a rimanere tali. Man mano che la metafora della macchina si evolveva, gli scienziati cominciarono a descrivere il cervello come un computer e la sua struttura come l’hardware, ritenendo che l’unico cambiamento possibile con l’invecchiamento fosse la degenerazione dovuta all’uso. Qualunque macchina si usura: quando si usa una cosa, la si consuma, use it, and lose it. Perciò qualunque tentativo da parte delle persone anziane di limitare il declino cerebrale tramite l’attività e l’esercizio mentale era considerato una perdita di tempo.
I neuroplastici, come chiamo gli studiosi che hanno dimostrato l’esistenza della neuroplasticità, rifiutavano la tesi di un cervello immutabile. Dotati per la prima volta di strumenti in grado di osservare le attività microscopiche del cervello vivente, provarono che questo organo si modifica con il funzionamento. Nel 2000 il premio Nobel per la medicina fu assegnato a Eric Kandel per aver dimostrato che con l’apprendimento le connessioni fra i neuroni aumentano. Il ricercatore dimostrò anche che l’apprendimento può «attivare» geni capaci di modificare la struttura neurale. Centinaia di studi proseguirono su questa scia, indicando che l’attività mentale non è solo il prodotto del cervello, ma a sua volta plasma il cervello. La neuroplasticità restituì alla mente il suo ruolo nella medicina moderna e nella vita umana.
La rivoluzione concettuale descritta in Il cervello infinito è stata solo l’inizio. In questo libro tratterò dei progressi stupefacenti da parte di una seconda generazione di studiosi che, non avendo l’onere di dimostrarne l’esistenza, si sono potuti dedicare alla comprensione e allo straordinario potenziale della plasticità. Ho viaggiato in cinque continenti per incontrare ricercatori, medici e pazienti e ascoltare le loro storie. Alcuni di questi scienziati lavorano nei laboratori più all’avanguardia del mondo occidentale; altri sono medici che hanno applicato queste conoscenze; altri ancora sono medici e pazienti che hanno scoperto per caso la neuroplasticità e hanno perfezionato alcuni trattamenti efficaci, ancor prima che l’esistenza della plasticità venisse dimostrata in laboratorio.
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