Polinesia: Isole nate da vulcani

Polinesia: Isole nate da vulcani

Sono quasi tutti turisti occidentali che si recano in Polinesia. Dall’alto, durante il volo in aereo sopra gli immensi spazi dell’Oceano Pacifico, si possono osservare gruppi di isole diverse per dimensione e per forma: alcune sono montuose, dominante da coni vulcanici; altre hanno la forma di un anello che all’interno racchiude una sorta di “piscina” di acqua marina; altre ancora sono basse e circondate da una barriera corallina.

Un’isola come tante in Polinesia

Per studiare l’ambiente e il tipo di vita e di attività che caratterizzano questo mondo, scendiamo con l’aereo a Uplou, un’isola delle Samoa Occidentali, un piccolo sotto del Pacifico meridionale che, secondo gli studiosi, custodisce il nucleo più intatto dell’etnia e della cultura polinesiana. Uplou è un’isola come tante altre, montuosa e ricoperta da una fitta vegetazione tropicale fatta di palme, pandani, alberi del pane. Dall’aeroporto di Apia, che è l’unico centro urbano di una certa rilevanza dell’arcipelago, ci si sposta in pulman lungo le coste basse, caratterizzate da spiagge di sabbia chiara e contornate di rocce nere e da palme. Ampi tratti di costa, recintati, sono riservati ai clienti di alcuni grandi alberghi che ospitano consistenti flussi di turisti.

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Attività prevalenti in Polinesia

Presso la costa di trovano anche numerosi villaggi in cui la popolazione locale vive secondo tradizioni e abitudini secolari. Le attività principali sono la pesca e l’agricoltura, condotta con metodi piuttosto arretrati. La Polinesia vive di piantagioni di cacao, palma da cocco, zucchero, patate dolci, riso e arachidi. Nella vicina isola di Savaii, la più grande e selvaggia delle Samoa Occidentali, il terreno poco fertile e accidentato ha scoraggiato l’insediamento della popolazione e anche le strutture turistiche sono poco sviluppate.

Lo spettacolo della Polinesia

Immergendosi nelle acque trasparenti della laguna, si possono osservare numerosissimi pesci di varie specie, crostacei e coralli variopinti di grande bellezza. Osservando su una carta le grandi distanze che separano fra loro gli arcipelaghi del Pacifico, ci chiediamo innanzitutto in che modo i polinesiani siano riusciti a scoprire e a popolare questo vasto mondo fino ai suoi angoli più remoti.

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I popoli che si avventuravano nell’Oceano Pacifico erano grandi navigatori. Essi dovevano affrontare infatti condizioni ambientali quasi sempre ostili: cicloni tropicali, venti e correnti marine contrarie, oppure zone di calma equatoriali. Per muoversi in questo grande mare i navigatori polinesiani, che non conoscevano la scrittura, crearono delle rudimentali “carte geografiche”, i mattang, che consistevano in tralicci fatti di canne o costole di palma intrecciate, su cui venivano disposti coralli o conchiglie che rappresentavano le isole; altre bacchette disposte obliquamente o ricurve, indicavano le correnti marine e i venti.

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I polinesiani misero a punto inoltre un tipo di imbarcazione semplice e al tempo stesso estremamente resistente: la piroga, nei suoi due tipi fondamentali, il catamarano e la piroga a bilanciere, entrambi forniti di vela e di remi.

Il catamarano era formato da due canoe in legno, lunghe fino a 35 metri, tenute insieme da un ponte su cui si trovano anche delle tettoie per ripararsi dal sole. Le vele, fabbricate intrecciando foglie di pandano, erano triangolari con il vertice in basso, adatte a sfruttare gli alisei e a navigare anche contro vento. I catamarani potevano trasportare fino a 200 persone e venivano utilizzati per spostare intere popolazioni da un’isola all’altra.

Polinesia un paradiso perduto

Avvincenti racconti di viaggiatori e scrittori, suggestive visioni create dalla pittura e dal cinema hanno contribuito a diffondere l’immagine della Polinesia come un “paradiso perduto”, l’ultimo angolo di un mondo felice in cui ogni essere vive secondo natura e gli indigeni accolgono con sorrisi e corone di fiori gli ospiti che giungono dal mare.

Questo ritratto risponde in una certa misura alla realtà. Le isole della Polinesia sono state davvero sede, per secoli, di una civiltà ospitale e per certi aspetti giocosa, anche se non idilliaca come la rappresentano i film e i romanzi: frequenti erano infatti le guerre fra le popolazioni per il possesso di un territorio, ed erano diffusi i sacrifici umani e la schiavitù.

Oggi molti aspetti dell’originaria civiltà polinesiana sono scomparsi o sono diventati semplici rituali a uso e consumo dei turisti: ne sono esempio i canti, le danze (fra cui il celebre tamuré) e i banchetti tamara (a base di carne di maiale e tartaruga, gamberetti, banane arrostite e noci di cocco), organizzati per accogliere i visitatori al loro arrivo nelle isole.

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